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Come migliorare la parte mentale nella maratona?

Come lavorarci al meglio

Perfomance e maratona: gli aspetti mentali

PROGETTO MARATONA

Cesare Picco

CESARE PICCO

Psicologo e psicoterapeuta

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DAVIDE CAPPELLARI

Psicologo e psicoterapeuta

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LUCA FILIPAS

Endurance Coach & Sport Scientist

Come allenare la mente per la maratona è sempre stato oggetto di analisi e discussione sia da parte del podista amatore che di quello evoluto. Una delle prime e più famose ricerche si è concentrata sulle strategie di associazione e dissociazione che gli atleti utilizzano in gara e in allenamento per mantenere una prestazione ottimale (Morgan e Pollock, 1977) .

Gli autori hanno evidenziato che le strategie associative vengono utilizzate maggiormente dagli atleti élite per dirigere la propria attenzione ai segnali interni del corpo (ad es. respirazione, battito cardiaco, ecc.), mentre quelle dissociative sono impiegate per ignorare possibili segnali distraenti, come quelli di dolore, provenienti dall'organismo (Schomer, 1986).

Tuttavia, risulta quasi inesplorato nella disciplina della maratona il costrutto di mental toughness (Kobasa, 1979), riferito alla capacità che l’atleta ha di utilizzare positivamente gli stressor, trasformandoli in spinte propulsive. Seppure ne sia già stata dimostrata la presenza di alti livelli in sportivi di élite (Sheard e Golby, 2010), non sono ancora emersi dati a conferma di questa tesi nella corsa di endurance e in maratona (De la Vega Marcos e Rivera, 2011).

Proprio per questi motivi abbiamo deciso di strutturare una ricerca volta identificare le abilità mentali più diffuse tra i maratoneti professionisti, élite e forti amatori, in particolare valutando se la disposizione alla mindfulness e la mental toughness siano predittive di alte prestazioni. Monitorando l'incidenza della percezione di essersi scontrati con il muro del trentesimo chilometro si desidera inoltre esplorare l'esistenza di ulteriori caratteristiche mentali in grado di predire o influenzare l'incorrere in questo evento negativo e soprattutto di poterle allenare.

 

I risultati, spiegati in modo applicativo all'interno dell'articolo di The Running Pitt, hanno mostrato come il fattore mentale impatti principalmente nei primi 30km, meno nell'ultimo quarto di gara e nell'incidenza del fenomeno del muro.

Una spiccata predisposizione alla mindfulness, alti livelli di self-confidence e l'abitudine alla pratica mentale durante le sessioni di allenamento, sono gli aspetti di natura psicologica maggiormente correlati alla performance. Non sembra, inoltre, avere una rilevanza spiccata la durezza mentale.

Questi dati ci hanno quindi permesso di:

  1. ottenere una pubblicazione sul secondo numero della rivista nazionale dell'AIPS. Chi desiderasse maggiori informazioni e scoprire nel dettaglio i risultati la può acquistare al seguente sito internet PSE - Psicologia dello Sport e dell'Esercizio;

  2. creare un nuovo progetto di ricerca per comprendere come i maratoneti utilizzino il proprio self talk durante la gara, e in particolar modo in alcuni momenti topici, cioè negli ultimi 12km della maratona. E' in queste situazioni che si sente l'avvicinarsi del "muro", dal trentesimo km in poi, durante gli ultimi terribili chilometri. 

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