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Sergio Costa

Sono stanco di essere stanco: il ruolo della fatica

La fatica sentita per uno o due giorni può essere normale e spiegata abbastanza facilmente a seconda dell’intensità degli allenamenti, ma se dura diverse settimane o persino mesi, con un calo prolungato delle prestazioni, allora diventa necessario analizzarla e in caso intervenire. C’è infatti una linea sottile e il limite sta nel trovare il perfetto equilibrio tra lavoro e recupero senza sfociare nel sovrallenamento.


Ma quali sono le 4 fasi della fatica?

  1. Fatica acuta, dove a seguito di un intenso carico di allenamento, l’atleta a bisogno di un giorno di riposo per recuperare l’energie;

  2. Sovraffaticamento funzionale, dove la fatica è più intensa, ma rimane comunque positiva per l’atleta, con l’auspicio che questo stress porti il corpo ad adattarsi;

  3. Sovraffaticamento non funzionale, dove l’equilibrio tra il carico di allenamento e la capacità di recupero dell’atleta viene interrotto, per il cui il livello di prestazione si abbassa in modo prolungato e non serve più un giorno “off” per recuperare;

  4. Sovrallenamento, cioè quando c’è uno squilibrio tra allenamento e recupero, dove l’atleta inizia ad avere disturbi del sonno, sbalzi di umore e incapacità di ritrovare freschezza e serenità, che possono portare al cosiddetto burnout.

Cosa può determinare questo overtraining?

Pause insufficienti, un clima conflittuale, un ambiente rumoroso, periodi di riposo altalenanti sono elementi che rischiano di incidere sulla qualità del recupero, nonostante la programmazione possa essere adeguata. Inoltre, anche lo stile di vita dell’atleta, il programma giornaliero, l’alimentazione, il consumo di alcool o tabacco, così come anche il suo stato di salute possono anche influenzare tale capacità.


Se esausto emotivamente, l’atleta ha la sensazione, indipendentemente dagli sforzi fatti, sia fisici che mentali, di non riuscire più a sostenere un allenamento di tipo agonistico. Questo stato è accompagnato da un calo di motivazione, dall’insoddisfazione di praticare sport e da un calo delle prestazioni, nonché ad uno stato di saturazione psicologica, che non deve essere confusa con il burnout (se ti interessa saperne di più leggi nel dettaglio il mio articolo).


Cicerone diceva “Finchè respiro spero”, infatti, una respirazione corretta può essere alla base dell’autocontrollo e gli stress della nostra vita quotidiana determinano come primo effetto negativo proprio problemi di respirazione. La paura ci fa bloccare il fiato, la rabbia l’altera per permetterci di urlare, contro se stessi o qualcuno, la tristezza la riduce ad un filo d’aria che entra ed esce, ed infine l’ansia ci fa respirare in modo affannoso e superficiale. Il respiro riflette il nostro livello di forma fisica e di benessere psicologico.


Questa situazione richiede quindi la necessità di essere affrontata insieme ad un esperto del settore, cioè uno psicologo dello sport, che possa aiutare l’atleta a ritrovare la fiducia in se stesso, la sensazione di controllo e la motivazione per trovare delle strategie utili insieme.


Se invece ti interessano altri articoli sulla preparazione mentale potrai trovare nella mia sezione articoli su le convinzioni di efficacia personale, su quando è utile iniziare un percorso di allenamento mentale, sull'allenamento percettivo-cognitivo, sul livello ottimale di prestazione, e molto altro.


BIBLIOGRAFIA

Tratto dalla pubblicazione trimestrale tecnico-scientifica numero 128 della Scuola dello Sport.

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